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  • AutorenbildLudovica Bello

seconda tappa: obsession!

Quando avevo 15 anni, scoprii un gruppo meraviglioso, chiamato “Qui e là insieme”. Era un gruppo missionario d’ispirazione cattolica, molto diverso però dalla classica Azione Cattolica, che io detestavo con tutto il cuore. Entrambi i gruppi organizzavano i classici campiscuola, solo che mentre il Campo della Parrocchia per me era un martirio (perché mi son sempre sentita un pesce fuor d’acqua, non di certo perché fosse colpa della Parrocchia!), il Campo Missionario era per me un evento eccezionale.

Le più grandi differenze tra i due Campi erano che nel Missionario non c’erano i giochi di gruppo (che io proprio non riuscivo a trovare divertenti), si pregava di meno (Grazie a Dio – o chi per lui!) e in più c’erano degli orari fissi “di lavoro”. Passavamo un paio d’ore al mattino e un paio d’ore al pomeriggio a tagliare cuoio, cucire portafogli e oggettini vari, disegnarli col pirografo e pure a costruire delle vere e proprie icone sacre. Gli highlights per me erano: andare a vendere sul lago di Garda gli oggetti e approfittare di quelle occasioni per mangiare un quintale di gelato. Tutti i soldi che guadagnavamo venivano mandati ai nostri missionari presenti in Brasile e Madagascar.

Tutta questa premessa sul Campo Missionario perché voglio parlare di un fenomeno che ha interessato una consistente parte della mia vita.

Dal momento in cui sono tornata dal mio primo Campo ho continuato a rompere le scatole ai miei per tornarci: quando tornavo dal Campo Estivo, volevo andare a quello invernale e viceversa. Sentivo che alle persone che mi accoglievano lassù ad Albarè io andavo bene così com’ero, anche se ero più alta della media e piuttosto dinoccolata, anche se avevo l’accento padovano e dicevo un sacco di cavolate.

Non ho mai capito fino in fondo il motivo per cui mi piacesse rivedere la gente di Albarè. Ora lo so. Era la mia necessità primaria di sentirmi accettata e apprezzata. Senza di loro avrei continuato a credere d’essere quella creatura awkward che mi reputavo. Invece, il primo Campo Missionario è stato un booster di fiducia in me stessa. Fun fact: quando cominciai a studiare lirica con la mia prima insegnante (avevo 17 anni e mezzo) il calore che provavo quando pensavo al Campo dapprima si quietò e poi scomparve del tutto per lasciare spazio a dei ricordi tanto piacevoli quanto insipidi. Nel mio cuore e nella mia testa non restò spazio quasi per null’altro. Solo Mozart. Solo lirica. Beh..anche un po’ di amici, dai 😉

Nel corso degli anni la mia vita è diventata voce-centrica. Già, non mi definirei veramente egocentrica…la voce era decisamente molto più importante del mio organismo stesso. Se prendevo una decisione era per lei e solo per lei, la mia passione, la mia vita. Tutto ciò creò in me una vita soddisfacente. Vinsi l’audizione per diventare solista stabile nel teatro di Mannheim e cantai solo durante la mia prima stagione ben 16 ruoli. Se tu che stai leggendo, non hai idea del mondo dell’opera, sappi che 16 ruoli sono tanti 😉

Quando imposti la tua vita secondo regole ferree, che talvolta sconfinano nell’ossessivo, e hai successo, penserai ragionevolmente che il metodo di vita sia corretto.

In pratica, verrai rafforzato nelle tue scelte di vita. Così continui a vivere, forse anche inasprendo le regole, perché sai che riuscirai ad avere sempre di più, perché la disciplina paga e il motto della tua infanzia è stato “prima il dovere, poi il piacere”.

Sapete che vi dico?

Non sono più d’accordo con questa visione. Queste frasi sono credenze assorbite dalla società fin dalla prima infanzia. Fai attenzione alle frasi che ti dici, soprattutto a quelle che dai per scontato, che ti sembrano sacrosante.

Ciò che ti fa avere successo e il successo stesso non deve necessariamente farti diventare felice. L’ho sperimentato sulla mia pelle e, poiché -come dice Rogers- l’esperienza è più saggia dell’intelletto, ne sono sicura.

In generale, raccomanderei chiunque di fare attenzione al proprio metodo di vita.

Poniti due domande:

1. Come mi sento? (sentimenti, sensazioni)

2. Mi è chiaro il motivo per cui mi sto imponendo di vivere così?

Queste due domande mi hanno fatto capire che io in quanto processo, quale anche tu sei, posso eventualmente venir frenato da imposizioni/credenze errate.

A me ha fatto capire alla non più verdissima età di 30 anni che la verità è una questione di sensazioni e sentimenti, non di raziocinio e ossessione.



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